VOTA ANTONIO ( D’Ambrosio ), VOTA ANTONIO ( Maconi )…E VOTA PURE VALERIO ( Melcore ) ! – Tre storie di politica. E di passione.
di Giuseppe Puppo
Domenica 27 maggio si voterà in alcune città per il rinnovo dei consigli comunali.
In una geografia dell’anima, in tre di esse ci sarò anche io. No no, tranquilli, mica mi candido! Ho smesso di fare politica dai tempi di “Andare oltre”: io mi sono fermato lì. Da allora in poi, la politica non la faccio, la studio; comunque, me ne interesso, memore dell’insegnamento del mio Maestro, anch’egli non andato oltre, il quale diceva una frase bella, quanto vera: “Certo, tu puoi anche non interessarti di politica” – ripeteva ogni volta che incontrava qualche agnostico, o qualche ignavo – “Ma tanto la politica si interessa di te”.
Certo, oggi la nostra democrazia è ridotta per lo più a una partitocrazia feroce; a un indistinto grigiore, dopo che sono finiti non solo gli ideali, ma pure le idee; a una incapacità progettuale; alla gestione, per giunta clientelare, dell’ordinaria amministrazione, inseguendo gli sconvolgimenti epocali, subendo gli eventi, anziché anticiparli e deciderli.
Ma tranquilli, non voglio parlarvi nemmeno di questo sconfortante contesto, anche perché poi le eccezioni, per quanto rare, non mancano e, prima o poi, per dirla con un verso di Ezra Pound, uno dei pochi in italiano: “Torneranno i fanti, torneranno le bandiere”.
E allora? Allora voglio accompagnarvi in viaggio nella geografia dell’anima, là dove, domenica 27 maggio, sarò anche io. Accanto a tre miei amici - e uso la parola in senso riduttivo - che affrontano il giudizio del popolo sovrano e che ho seguito e continuo a seguire, più o meno coinvolto e dei quali vi voglio parlare, più dal versante del “personale”, che del “politico”.
Venite?
Non importa che nemmeno voi siate elettori di quelle città…Ma se conoscete qualcuno che invece lo è, ricordatevi i nomi che sto per farvi e le storie che sto per raccontarvi, grazie!
Andiamo? Il nostro viaggio comincia là dove, dopo Chivasso, seguendo una stradina che corre accanto alla ferrovia, lentamente, gradualmente, la provincia di Torino diventa Canavese e sto dando ora in escandescenze con questo correttore automatico che chissà mai perché si ostina a cambiarmi “Canavese” con “Canadese”, mannaggia a lui!
Benché si chiami così, comunque a Montanaro non ci stanno i montanari e pure i monti al massimo, nelle giornate terse, si vedono all’orizzonte.
Un paesino di casette antiche e villette moderne, a raggio intorno alla piazza principale, con i portici, il bar, la farmacia e il mercato la mattina.
Qui arrivò tanti anni fa, dalla natia provincia di Salerno, fresco di laurea in medicina, a fare il medico condotto, Antonio D’Ambrosio.
Se Cristo si è fermato, sempre in provincia di Salerno, a Eboli, lui si è fermato a Montanaro.
Dopo un bel po’ però cominciò pure a fare politica e sul finire degli anni Ottanta le nostre strade si incrociarono: lui avanti e io dietro. E se non di strada, da allora ne abbiamo fatte di strade!
Pure lui ricorda con affetto romantico la mitica campagna elettorale del 1992 quando era candidato al Senato, in cui, su una scassatissima “Uno” grigia con altoparlante incorporato, ricoperta da manifesti e stracolma di “santini” girammo tutti i paesi del Canavese ( io questo correttore automatico lo uccido! Ma come si fa a levare? Me lo dite per favore? Visto che mi fa soltanto danni! ) e del Monferrato e la gente assisteva ai nostri comizi volanti in un misto di incredulità, stupore, indignazione e partecipazione affettuosa, guardandoci come se fossimo marziani.
Poi nel 1995 diventò assessore alla sanità della Regione Piemonte e io con lui addetto stampa dell’Assessorato. Ho detto “stampa”, ma potrei dire tante altre cose ancora..
Per quasi sette anni, le mie giornate, spesso sabato e domenica compresi, cominciarono con lui alle otto di mattina e finirono alle otto di sera, quando finivano, se non c’era qualche convegno dove andare, qualche tavola rotonda o quadrata cui partecipare, per cui si facevano le ore piccole. Per ricominciare poi il giorno dopo sempre alle otto di mattina.
I paesi, le città, le strade del Piemonte, le abbiamo fatte tutte, con Ciro o con Sergio, i fidati autisti, che pigiavano il piede sull’acceleratore, perché, magari da Ovada, bisognava essere poi a Domodossola in mezzora, provateci un po’ voi a riuscirci, ed eravamo perennemente in ritardo.
E quanti guai, quanti problemi, quante storie, pure quanti litigi e quante incazzature, in tutti quegli anni senza fiato! Dove fra l’altro – e vedete quanta ragione aveva il mio Maestro? – la politica decideva non di un parcheggio, o di un’aliquota dell’Ici, ma proprio la salute, cioè il benessere psico-fisico, a volte la vita o la morte stessa, delle persone.
Ora, capitemi: come faccio a non volere bene, ma tanto tanto, a un uomo così? Con Antonio D’Ambrosio abbiamo mangiato nello stesso piatto. Ma è meglio spiegare. Attenzione: in un assessorato che muoveva interessi giganteschi, di miliardi e miliardi delle vecchie lire e milioni e milioni dei nuovi euro, non abbiamo preso nemmeno dieci lire in più del nostro stipendio ( il suo più consistente del mio, a dire il vero ).
Ma non è una frase fatta. Infatti, Antonio D’Ambrosio, al ristorante, ha due bruttissimi “vizi”: il primo, appunto, che con la forchetta ti viene sempre a “rubare” assaggi e assaggini di quello che stai mangiando tu, intento magari a parlare, chè se non ti stai attento, in un minuto non ti ritrovi più niente nel piatto; il secondo, che all’improvviso decide che è arrivato il momento di andare via, e ti fa lasciare il dolce, se va bene, il secondo e il contorno se va male, per seguirlo a ruota, “Neh Giusè jam ampress”.
Ora Antonio D’Ambrosio invece che il pensionato vuol fare il sindaco del suo paese. E’ a capo della coalizione “Uniti per il cambiamento”, che sfida il capo del soviet supremum dell’amministrazione uscente, anzi, non uscita mai.
Cambiamento, già. E’ passata l’Urss, pure in Cina è cambiato tutto, è caduto il Muro di Berlino, ma non quello di Montanaro: là, come direbbe Silvio Berlusconi e una volta tanto avrebbe pure ragione, “i comunisti” ci stanno ancora e durano imperterriti!
Sono proprio belle le elezioni in programma domenica 27 maggio?
Ma lasciamo Montanaro e andiamocene ad Alessandria. Una città piemontese soltanto per la carta geografica, fatta tutta a modo suo, che poi però proprio nella geografia, nella posizione strategica, a cavallo di cinque regioni, per cui in mezz’ora sei o in Lombardia, o in Liguria, o in Emilia, o in Toscana, ha il suo punto forte.
Poi, città nel mio cuore e nemmeno questa è una frase fatta, ma va beh, lasciamo perdere e andiamo piuttosto da un altro Antonio, Maconi.
Medico pure lui, figlio di un luminare della medicina, uno dei più giovani, promettenti e già brillanti chirurghi di tutta Italia quando, alla fine del secolo e del millennio, ecco qua, gli piglia la voglia irresistibile e irrefrenabile di fare politica, a tempo pieno. Un virus, che nessun medico è in grado di debellare. Una malattia inguaribile, che ti divora, ti assorbe tutto, ti fa pensare solo a quello e basta, come una droga che si alimenta e ti alimenta al tempo stesso in maniera irreversibile, in un dominio totale e incontrollato.
Di lui, proprio questo mi piaceva: il contagio terribile e passionale al tempo stesso (io, ne ero immunizzato! ) oltre che lo spirito di servizio, il senso di appartenenza, di identità, di comunità. Pure con Antonio Maconi ho fatto cose belle. Abbiamo, per dirne una, ritrovato nella biblioteca civica di Alessandria gli articoli di Ezra Pound per “Il popolo di Alessandria” e li abbiamo divulgati. Per dirne un’altra, abbiamo scommesso agli albori dell’era di internet sull’editoria on line e sulla comunicazione politica col web.
Da alcuni anni, anziché in ospedale – braccia rubate alla sanità! – Antonio Maconi opera in consiglio comunale e in consiglio provinciale.
Ora, se sarà rieletto in consiglio comunale, alla testa della lista di Alleanza Nazionale e se la coalizione di cui fa parte vincerà, farà poi il vicesindaco di Alessandria. La sua carriera farà un passo in avanti e in alto, insomma e io questo gli auguro. Perché ci ha creduto e perché ci crede. Se poi riuscirà ad accompagnarla con una maggiore serenità, ne guadagnerà anche in lucidità pubblica e tranquillità privata.
E andiamocene ora a mille chilometri di distanza, andiamo in un’altra città, andiamo nella sempre mia città, andiamo a Lecce!
Oh yes!!! Lecce, che già era bella, in questi ultimi dieci anni, Adriana Poli Bortone sindaco, è diventata bellissima: ha compiuto un vero e proprio processo di modernizzazione, senza per questo rinunciare alla propria tradizione, anzi, attualizzandola, valorizzandola, esaltandola. Vedete che poi la politica, quando giustamente interpretata, può e può far bene?
Ora però - dura lex, sed lex – dopo due mandati il sindaco uscente non si può più ripresentare, ché se no la Adriana avrebbe vinto con una percentuale bulgara: a disputarsi la poltrona di primo cittadino si fronteggiano le opposte coalizioni, con esito incerto, per tante ragioni.
Ma a parte questo, ‘stavolta a Lecce, direbbe sempre Silvio Berlusconi, “scende in campo”, candidato al consiglio comunale, in una lista civica denominata “La città”, pure Valerio Melcore.
E vai!
E io con lui! Anzi, almeno negli ultimi giorni di campagna elettorale, sarò con lui non solo idealmente, ma proprio fisicamente, a Lecce e questo è il minimo che potessi fare, oltre che un piacere.
Con Valerio, quando eravamo ragazzi, siamo cresciuti a pane e politica. Lui era il leader, io l’”intellettuale” del gruppo. Lui l’azione, io il pensiero. Lui l'estremista, io il moderato, almeno di questo venivo accusato all’interno. Però poi così ci compensavamo.
Vicini o lontani, molti dei protagonisti di oggi ci sono passati accanto e ne potremmo raccontare di storie!
Sono passati pure troppi anni, è vero, troppi.
Ma noi, novelli Dorian Grey, per un miracolo, quasi un rincorrersi del tempo e insieme un suo fermarsi, siamo ancora ragazzi. Pieni di tante cose da fare ancora e, soprattutto, di voglia di farle, pieni di entusiasmo, pieni di passione.
Ora a Valerio, diventato nel frattempo abile imprenditore e tecnico, anzi artista, della pubblicità, è rivenuta “la malattia” della politica.
Vedete? Che vi dicevo? Non si guarisce, non si guarisce proprio! Se ne può stare in letargo pure per quasi trent’anni, ma poi il virus si risveglia, si rimette in circolo e allora non c’è niente da fare! Lasci moglie, figli, collaboratori, lavoro, guadagni sicuri, attività avviate e ti rimetti a far politica, per cosa poi? Come un ragazzino, quando eri sempre in mezzo ai casini di ogni tipo, ah e ne potremmo raccontare pure di casini di ogni tipo!
Solo che non hai più venti anni, ne hai cinquanta. Beh, questo però soltanto per l’anagrafe: numeri che non hanno senso, no, ben altra è la verità!
Il già citato Silvio Berlusconi- e dagli! – direbbe – e soltanto per un’altra volta ancora avrebbe ragione- che la nostra “età biologica” è sempre di venti anni.
Forza Valerio, che la forza sia con te!
‘Stavolta, in questa tua seconda vita in politica, non ci saranno più i Commissari di Polizia con i quali trattare i cortei non autorizzati. Non ci saranno più- e meno male! Anche perché adesso non saresti più così veloce come allora a scappare!- cinquanta agenti della Celere a inseguirti con i manganelli all’aria. Non respirerai più – ma è sicuro che non te ne dispiace? - il fumo dei lacrimogeni.
Ma avrai sempre tanti documenti da scrivere, tanti manifesti da preparare e mille e mille battaglie ideali e sociali ancora da intraprendere.
Poi, vada come vada. Come diceva qualcuno, a noi così lontano, eppure a noi così vicino, le battaglie non si perdono, le battaglie si vincono sempre.